Siamo dentro una società narcisistica in cui domina l’istinto di dire e la pretesa di essere ascoltati: viviamo in una cultura pragmatica e orientata alla risoluzione dei problemi, che dà valore al sapere e al comunicare agli altri ciò che sappiamo.
“Domandare equivale viceversa a un temporaneo trasferimento di potere all’interlocutore e di conseguenza a renderci vulnerabili”
(E. H. Schein)
Possiamo fermarci a considerare che esiste una vulnerabilità generativa, attraverso la quale si sceglie di mettere a disposizione dell’altro un autentico interesse a conoscersi.
L’umiltà non è depotenziante: occorre disapprendere le presunzioni di sapere e poter trasmettere quello che sappiamo, sospendere l’esigenza di dire e lasciarsi spingere dalla intenzione di ascoltare.
“Ora immaginate la conversazione come una sorta di altalena sociale su cui due persone imparano a conoscersi, un balletto di reciproca autoesposizione in cui dire e domandare di alternano, ispirati dalla curiosità e dell’interesse. La graduale messa a nudo di sé può avere luogo sotto forma di risposte all’umile ricerca di informazioni o di deliberate rivelazioni. Se positivamente recepite dall’interlocutore, poco a poco queste prime rivelazioni saranno seguite da altri pensieri e sensazioni sempre più personali, per verificare se l’altra persona continua ad accoglierli positivamente. A ogni successiva rivelazione ribadiamo il nostro valore di persona e di conseguenza ci rendiamo più vulnerabili. Se l’altro mantiene un atteggiamento recettivo, la fiducia reciproca cresce.
Ciò che chiamiamo intimità può quindi essere visto come un graduale rivelare sempre più ciò che normalmente teniamo nascosto”.
La comunicazione è il campo di semina e coltivazione della relazione e le domande sono una attrezzatura di manutenzione e cura.
Se ci fermassimo ad analizzare le domande che utilizziamo abitualmente, ci accorgeremmo che la maggior parte sono di controllo: domande tendenziose, che contengono già la risposta, domande invasive, che attivano resistenze perché non rispettano le emozioni dell’interlocutore, domande giudicanti che implicano un giudizio sulla persona che abbiamo davanti, domande manipolatorie che tendono a guidare l’interlocutore verso la risposta che ci attendiamo.
Sono tutte domande che non favoriscono lo scambio relazionale e non consentono l’esplorazione autentica di nuove conoscenze.
Un buon utilizzo di buone domande facilita la costruzione di una comunicazione efficace che potrà salvaguardare la relazione dall’impatto delle tensioni conflittuali che la metteranno alla prova come sfida evolutiva.
QUALE DOMANDA VORRESTI PER TE?
E DA CHI?